anno XIV - n. 10
Rassegna stampa | Kasherut | Ricerca nel sito | Ascolta la radio e guarda la TV israeliana | Lettura ebraico | Indice audio | Lunario
Dossier
TALMUD
da "Pagine Ebraiche"
Mikez
Parashat Mikez -
Shabbat Chanukà 5771
Buio e
Luce
“E disse
Josef al Faraone: ‘Il Sogno del Faraone è uno. Ciò che Iddio fa, ha
narrato al Faraone’” (Genesi XLI, 25)
La straordinaria
storia del passaggio di Josef dalle carceri al vertice del governo ha come
fulcro l’interpretazione del sogno del Faraone. I nostri Saggi, incuriositi
dall’improbabilità degli eventi narrati, si chiedono come sia possibile che il
più potente dei sovrani dell’epoca avesse bisogno di uno schiavo incarcerato per
interpretare un sogno.
In effetti la
corte del Faraone disponeva di un enorme quantità di maghi, stregoni, sacerdoti,
ministri e consulenti vari. Nessuno riuscì ad interpretare
il sogno in maniera soddisfacente per il Faraone. leFarò. Secondo il
Midrash la corte propone moltissime interpretazioni ma il Faraone le respinge.
Sempre il Midrash, ripreso da quasi tutti i Rishonim, individua la chiave del
successo interpretativo di Josef nel sistema utilizzato. Tutti gli altri
provarono ad interpretare i due sogni come eventi separati; solo Josef capisce
che i due sogni sono in realtà un sogno solo. Il Faraone stesso aveva in qualche
modo percepito questa unicità ma non era riuscito a spiegarla. Infatti dice
sempre bachalomì, nel mio sogno e mai nei miei sogni.
L’Egitto non
riesce a capire il concetto dell’uno. Nel sistema politeistico egiziano
l’uno non esiste. La radice dell’unicità non c’è. È tutto multiplo.
Lo Sfat Emet
paragona questa incapacità di comprendere l’unicità, con un noto Midrash di cui
ci siamo occupati in passato per il quale il Faraone pur conoscendo le settanta
lingue del mondo non riesce ad imparare da Josef l’ebraico. L’ebraico è la
radice di tutte le lingue. È la radice sacra della capacità verbale. Il resto
delle lingue sono traduzioni dell’ebraico, che è la lingua attraverso la quale
Iddio ha creato il mondo. Questo livello di unicità è precluso al Faraone.
Il Rabbi di Gur
utilizza il sogno del Faraone per spiegare un concetto basilare della filosofia
ebraica: raza deChad, il segreto dell’Uno.
Le vacche grasse
e quelle magre, così come le spighe e gli anni di abbondanza e carestia,
rappresentano il “bene” ed il “male”.
Quando il
Faraone racconta il sogno a Josef egli aggiunge un dettaglio molto interessante
che non figura nel racconto “oggettivo” della Torà all’inizio della Parashà.
Quando le vacche grasse vengono divorate da quelle magre, l’aspetto delle vacche
magre resta magro, velò nodà ki bau el kirbenna, non ci si rende conto che
sono entrate dentro, dice il Faraone. Per lo Sfat Emet questa è la chiave.
Ciò che ai
nostri occhi è un evento negativo ha il suo ruolo nel mondo nel quale bene e
male sono mescolati. L’errore che noi facciamo è quello di considerare il
‘male’ un qualcosa di
separato. In realtà tutto viene dal Signore e tutto è una cosa sola. Il punto da
capire è proprio che il ‘male’ non ha una consistenza propria. Il buio non ha
mammashut, consistenza, è piuttosto l’assenza della luce. Di più è
l’occlusione della luce che in realtà esiste sempre. Capiamo allora che ciò che
noi vediamo come ‘negativo’, che nel lessico dei mistici è chiamato Sitrà
Achrà, l’altro lato, è in realtà l’ombra di ciò che è buono.
Gli anni di
carestia hanno un senso nel disegno Divino. Non sono meno parte del piano del
Signore rispetto agli anni di abbondanza. Certamente sono meno simpatici per
noi, ma questo non li rende meno ‘buoni’. Tutto è bene dinanzi al
Signore. Questo è il senso profondo di quanto dicono i Saggi nella
Mishnà, “E tutto ciò che ha creato il Santo Benedetto Egli Sia nel suo mondo,
non lo ha creato altro che in Suo onore....”
Questo è anche
ciò che intendono i Saggi quando dicono che quantunque in questo mondo
ci
sia
una benedizione per gli eventi positivi (hatov vehametiv) ed una per le
disgrazie (dajan emet) in futuro diremo sempre hatov vehametiv.
Questo il
Faraone non lo capisce. Lo sente ma non lo capisce. Per il Faraone una vacca
magra è una vacca magra. Tu la puoi relazionare quanto vuoi al disegno Divino ed
alle vacche grasse e spiegare quanto vuoi come le cose siano legate: per lui
resta una vacca magra. Serve Josef per spiegare alla Corte d’Egitto il concetto
dell’Uno.
Tutto viene dal
Signore e tutto è opera del Signore.
La luce Divina,
la luce della Creazione, la luce della Torà è esterna a questo mondo. Preesiste
il mondo. È fuori dal tempo e dallo spazio. Anche ora. Quando la luce penetra
nel nostro mondo finito si confronta con la materialità che spesso occlude la
luce della Torà. C’è infatti un verso che dice “hinnè hachoshech jechasè
eretz”, il buio copre la terra. Il buio esiste solo in questo mondo
ed in questo mondo si attacca alla luce e la adombra. In realtà però ogni
occlusione ed ogni oscurità sono illusioni. Sono il risultato della nostra
incapacità di utilizzare la materia per servire il Signore. Siamo noi che
creiamo il buio quando non sappiamo attaccarci propriamente alla luce.
Ki Ner Mizvà
veTorà Or. La mizvà è
paragonata dal Testo ad un lume mentre la Torà è la luce stessa. Per questo
motivo si può spegnere il lume di una mizvà trasgredendola, ma non si può
spegnere la luce stessa. La Torà. Allo stesso tempo si può illuminare il buio
facendolo scomparire proprio attraverso le mizvot secondo il principio che
“un poco di luce scaccia molta oscurità”.
Le mizvot sono
allora il modo per ‘tirare’ (limshoch) la luce Divina in questo
mondo cancellando il buio.
Per il Midrash
il buio di cui parla la Torà nel primo giorno della creazione è il simbolo del
regno di Grecia. Choshech ze Javan. Nel momento in cui noi veniamo a
celebrare la sconfitta del modello Grecia, lo facciamo illuminando quel buio. La
spettacolarità della mizvà di Chanukà è proprio di far coincidere nello spirito
e nella materia il principio per cui la mizvà è un lume, attraverso cui possiamo
capire che la Torà è luce, una luce che non può essere oscurata.
Per lo Sfat Emet
questo discorso è valido anche a livello individuale. Ognuno di noi hai il suo
buio. Così come ognuno di noi ha dei momenti di vacche magre e dei momenti di
vacche grasse.
Il buio
individuale è nell’immaginario dei Maestri chiamato ‘pozzo’. La
prigione di Josef è un pozzo. L’acqua della Torà però può riempire il pozzo
facendoci uscire.
Capire che
istinto del bene ed istinto del male, che anni buoni ed anni cattivi, sono
racchiusi nel concetto dell’Uno non è facile. Serve appunto la Torà per
ricordarci che tutto viene dal Signore. In questo contesto un elemento chiave
nel pensiero dello Sfat Emet è il ruolo dello Zaddik.
Nel momento più
buio della carestia ‘Vajftach Josef’. Josef aprì.
Il Giusto ha la capacità di aprire un percorso verso l’interiorità. È
chiaro che ognuno di noi è chiamato al suo personale processo di apertura verso
l’interiorità. Spesso questo avviene proprio quando ci si trova in momenti non
facili. In quei momenti possiamo divenire zaddikim.
Il pozzo in cui
Josef è rinchiuso si apre all’improvviso quando questi è necessario per spiegare
il concetto dell’uno. Così anche noi dobbiamo capire che le nostre vacche magre
sono funzionali alla nostra capacità di spiegarci e spiegare al mondo il
concetto dell’uno. Se non siamo ancora fuori dal pozzo significa che non l’acqua
della Torà non ci ha ancora sollevati al punto giusto.
Dobbiamo però
ricordare, sempre in ogni momento, che come Sforno dice per Josef, la salvezza
del Signore è in un batter d’occhio. In ogni momento possiamo passare dal buio
alla luce. E per quanto il percorso interiore può essere lunghissimo, la
rivelazione ed il passaggio effetivo dal pozzo alla luce avviene in un istante.
In quest’ottica
possiamo apprezzare meglio l’antico uso della Comunità di Roma nella quale si
accende la Chanukà usando quanto resta del lume alla cui luce si è letta Echà a
Tishà BeAv.
È un modo per
ricordarci che il passaggio dalla distruzione al Santuario ricorstruito è in un
batter d’occhio. E così come in una stanza buia una piccola fiammella scaccia
via immediatamente il buio così una sola piccola mizvà farà pendere dalla parte
del merito la bilancia d’Israele, e giungerà il Redentore a Sion, presto
ed ai nostri giorni!
Shabbat Shalom e
Chag haUrim Sameach,
Jonathan
Pacifici