Vito Guarrasi, avvocato
Ora anche la giustizia lo afferma, sebbene in una forma vaga e non priva di lacune. Il giornalista de L'Ora, Mauro De Mauro, fu ucciso dalla mafia perché era giunto troppo vicino alla verità sulla morte di Mattei, il presidente dell'ENI degli anni sessanta morto in seguito al famoso incidente aereo di Bascapé. Non è una novità. E' soltanto il riconoscimento della fondatezza del teorema Buscetta. Il pentito aveva rivelato anni or sono i retroscena del sequestro e dell'omicidio De Mauro.
Anni fa, ai tempi di Mani Pulite, nel 1993, Buscetta voleva vuotare il sacco e “dire tutto ciò che non aveva detto a Falcone”. Così, a suo dire, rivelò un segreto:
Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. A muovere le fila erano molto probabilmente le compagnie petrolifere, ma ciò non risultò a noialtri direttamente, in quanto arrivò Angelo Bruno, della famiglia di Filadelfia, e ci chiese questo favore a nome della Commissione degli Stati Unit i [...] Occorreva pertanto studiare un metodo per eliminarlo del tutto inusuale per noi e tale da fare in modo che l’ episodio rimanesse avvolto nel mistero più fitto. Salvatore Greco ‘ Cicchiteddu’ si assunse il compito di organizzare materialmente l’ attentato. Egli, a sua volta, si consultò con Stefano Bontade [...] Il contatto con Mattei fu stabilito da Graziano Verzotto, un uomo di potere che rappresentava l’ Agip in Sicilia e militava nella Democrazia cristiana. Verzotto non era informato, ovviamente, del progetto di Cosa Nostra, ma era molto legato a Di Cristina [...] Penso che fu proprio Verzotto, o lo stesso Di Cristina a presentare a Mattei un gruppo di giovanotti della mafia (quelli che ho nominato prima più Stefano Bontade) che lo portarono a caccia – sapevamo che Mattei aveva una passione per questo sport – nei dintorni di Catania il giorno prima della sua morte [...] Di Cristina procurò l’ accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei. L’ aereo di quest’ ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia. Esisteva, ovviamente, una vigilanza che doveva essere elusa. Ma la vigilanza di quei tempi non era quella di oggi: consisteva in un paio di guardie che passeggiavano su e giù nei pressi dell’ aereo (fonte: BUSCETTA: ‘ COSA NOSTRA UCCISE ENRICO MATTEI’ – Repubblica.it » Ricerca).
Buscetta fu il primo a parlare del ruolo di Graziano Verzotto, politico della DC, ex uomo dell'ENI, poi (dal 1966) presidente dell'Ente minerario siciliano (EMS). Verzotto era amico di Mattei, entrambi fecero la Resistenza fra i partigiani bianchi, ovvero i partigiani cattolici. Si ritrovarono poi nell'ENI, in Sicilia, fra i pozzi di Gela e Gagliano Castelferrato. Anche Verzotto doveva salire su quell'aereo, ma declinò l'invito di Mattei perché - disse poi - impegnato con il partito in un comizio in un paese dell'entroterra siciliano.
Verzotto era legato al clan Di Cristina, fu testimone di nozze del boss Giuseppe. Verzotto fu "messo fuori gioco" dallo scandalo dei fondi neri dell'EMS depositati nella Banca di Michele Sindona, banchiere di Dio e di mafia. A scoprire l'intreccio fra l'EMS e Sindona fu il magistrato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della banca di Sindona che si chiamava Banca privata italiana, poi ucciso da un sicario ingaggiato dallo stesso Sindona. Sullo stesso caso indagò la Squadra mobile di Palermo, capeggiata da Boris Giuliano, morto di mafia una settimana dopo Ambrosoli. Strane coincidenza che non sono mai state indagate a sufficienza.
E' proprio dopo la morte di Mattei che l'ENI - quell'ENI, quella comandata da Eugenio Cefis, l'uomo del "Piano 80", una sorta di disegno politico molto simile a quello della Loggia P2 (secondo una informativa del Ministero degli Interni, Cefis fu il vero fondatore della P2) - "si disinteressa" della Sicilia che così fonda una delle prime società partecipate, appunto, l'Ente Minerario Siciliano. Verzotto ne diventa presidente. Verzotto e De Mauro si conoscevano bene perché De Mauro lavorò a Il Giorno, giornale di proprietà dell'ENI, uno degli organi di stampa usati per "propagandare" la benzina del cane a sei zampe. Poi De Mauro passò a L'Ora, giornale di proprietà del PCI. Nel consiglio di amministrazione de L'Ora figurava un certo Vito Guarrasi, chiacchieratissimo avvocato siciliano, vicino al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa ma anche al comunista e onorevole Emanuele Macaluso. Vito Guarrasi era - fra l'altro - consigliere delegato dell'EMS. E' Vito Guarrasi ad assumere il boss Giuseppe Di Cristina all'EMS. Il Di Cristina era il signore incontrastato delle miniere di Riesi. Il Partito Repubblicato, alle elezioni del 1968 conobbe una strana "primavera", in quel di Riesi. Risultò il partito con più voti. Ugo La Malfa era legato a Guarrasi, il quale era a sua volta legato al clan di Cristina, insieme a Verzotto. Il candidato repubblicano di Riesi, Aristide Gunnella divenne, grazie a La Malfa, Sottosegretario di Stato.
La storia di Guarrasi ha dell'incredibile. Il suo nome compare in un rapporto (archivio del Dipartimento di  Stato di Washington) del console generale americano di Palermo Alfred T. Nester  che, indirizzato al segretario di Stato, aveva come oggetto: «Formation of group  favoring autonomy of Sicily under direction of Mafia». Era il 1943. Guarrasi compare ad Algeri, insieme a Calogero Vizzini, storico capomafia degli anni trenta-quaranta, Virgilio Nasi, Calogero Volpe, Vito Fodera. Sono parte di una delegazione italiana in missione presso il comando degli USA per trattare la resa con gli Alleati. In gioco c'erano le sorti dell'isola e quelle dell'intero paese. La delegazione "mafiosa" voleva ottenere l'indipendenza dalla casa sabauda, ne guadagnò lo status di regione a forte autonomia (la Sicilia è regione a statuto speciale, ha un suo parlamento, il presidente della regione Sicilia è alla pari di un Ministro della Repubblica e può sedere in Consiglio dei Ministri).
Guarrasi diventa uno di quei politici ombra che si muovono nei retrobottega dei partiti italiani. La conoscenza con Macaluso (PCI), il legame con La Malfa (PRI), la fratellanza con Verzotto (DC) ne fanno una sorta di capo ombra a cui tutti devono fare riferimento e riverenza per poter governare in Sicilia. Ma Guarrasi e Verzotto si trovano spesso su terreni concorrenti. Quando in Sicilia fu tentato l'esperimento del governo Milazzo, dando vita al milazzismo, una sorta di grande ammucchiata di tutti i partiti che escludeva la DC, vi era proprio Vito Guarrasi a tessere le fila in chiave anti democristiana, mentre Verzotto era l'uomo "mandato da Roma" a mettere ordine nel caos della DC palermitana.
Il giornalista Giorgio Bocca, in un acceso articolo sulla fine di Mattei, disse apertamente: “Dove c’è l’avvocato Guarrasi c’è puzza di mafia. E la cosa inquietante è che di lui non si parla mai. Anche dopo la morte è caduto un silenzio retrospettivo. Io andavo in Sicilia e sentivo parlare di lui. Lo descrivevano come l’eminenza grigia di tutta la Sicilia. Personaggi come l’avvocato Guarrasi sono i tipici consiglieri dei mafiosi… Rappresentano il quarto livello, quello che fa da trait d’union tra politica e mafia (L’ avvocato Vito Guarrasi, uomo dei misteri « Senza Memoria).
Nel 2003, in una intervista, Verzotto dichiarò che De Mauro venne da lui pochi giorni prima della morte a domandare della morte di Mattei. Volle sapere il resoconto completo di quella giornata, quella in cui Verzotto e Mattei dovevano decollare insieme dall'aeroporto di Gela, ma solo uno dei due lo fece. Quanto segue, Verzotto lo dichiarò al pm di Pavia, Galia,  titolare dell'inchiesta bis sulla morte di Mattei, qualche anno fa:
“La nascita del Petrolchimico [di Gela] era un'idea avviata da Cefis quale direttore generale dell'ENI e dall'avv. Vito Guarrasi, come responsabile del piano di sviluppo industriale della Regione siciliana. Per spiegare la morte di Mattei bisogna chiedersi a chi serviva. Non serviva più alle sette sorelle che avevano raggiunto con Mattei una tregua, non serviva nemmeno all'OAS e ai servizi segreti francesi perché la questione degli aiuti dell'ENI agli insorti algerini e il metanodotto Algeria-Sicilia si era risolta da sola con l'indipendenza dell'Algeria. Cefis invece si avvantaggiò della morte di Mattei perché era stato allontanato dagli incarichi che ricopriva” [...]
“Gli feci la cronistoria della giornata - ricorda Verzotto - e gli suggerii di andare dall'avvocato Guarrasi, che però non lo volle ricevere".
Che c'entra Guarrasi?
“C'è una registrazione telefonica. Guarrasi da Parigi parla al telefono con il vecchio commercialista Nino Buttafuoco e gli dice di parlare di meno, di stare più cauto. Come
ricorderà, Buttafuoco era andato in casa De Mauro per chiedere se lui, prima del rapimento, stesse lavorando su delle carte, gli interessavano soprattutto eventuali carte sull'ENI. Non voglio accusare nessuno, ma ci sono delle ombre nel comportamento di Buttafuoco e di Guarrasi”. (http://www.misteriditalia.it/casomattei/MATTEIIntervVerzotto.pdf - il petrolchimico di Gela fu costruito dall'ANIC, società il cui presidente era lo stesso Cefis).
ENI, Mattei, Cefis, Guarrasi, Verzotto, Di Cristina, La Malfa, Macaluso e il PCI siciliano intorno al quotidiano L'Ora: tutto ciò fa parte di un unico scenario, difficile da comprendere a distanza di tutti questi anni. Ma i partiti politici di allora sembrano molto meno distinguibili, tutti correlati in una medesima rete di relazioni viscida e melliflua, tale da far sorgere sospetti anche su figure insospettabili.
Sembra proprio che Verzotto volesse distinguersi da Guarrasi. Certamente non vedeva di buon occhio il successore di Mattei in ENI, Eugenio Cefis.
Cefis è talmente potente da far sparire un libro biografico su di lui. Il libro venne quasi completamente eliminato dalle librerie, persino rimosso dalle biblioteche nazionali di Roma e Firenze, che per legge devono conservare una copia di ogni libro pubblicato. L’opera, scritta da Giorgio Steimetz, fu pubblicata nel 1972 da Agenzia Milano Informazioni, di Guglielmo Ragozzino, di cui Steimetz è l’alter ego (a fine del post tutti i venti capitoli del libro “Questo è Cefis”). L’agenzia è finanziata da Graziano Verzotto (Lampi sull'ENI, Dell'Utri e Cefis: sei gradi di separazione).
In Questo è Cefis non si fa altro che elencare le numerose società collaterali intestate a prestanome ma riconducibili a Cefis. Del denaro pubblico che venne impiegato per propagandare la benzina dell'Agip, acquistata grezza sul mercato estero e raffinata a Cortemaggiore, Piacenza, quindi rivenduta a un prezzo notevolmente più alto. Cefis avrebbe evaso ed eluso le tasse per anni per mezzo di società off-shore, di "scatole cinesi", di fondi neri lasciati trasmigrare su conti esteri di cui non era chiara la proprietà. Tutto il libro Questo è Cefis è pervaso da una logica antistatalista, fondamentalmente contraria al ruolo dello Stato nell'economia. L'autore biasima il presidente Cefis per l'uso privatistico dei mezzi di informazione. Cefis aveva messo suoi uomini dappertutto, persino nella SIPRA, la società che ancor oggi gestisce la raccolta pubblicitaria della RAI. Il suo scopo era politico? Era forse quello di governare l'opinione pubblica? Il Piano 80 doveva, secondo Steimetz, portare al controllo governativo su ogni aspetto della vita pubblica. Cefis era un ex partigiano rosso, e tramite l'ENi, cercava di fare le fortune della sua parte, dei suoi ex sodali. L'ENI era il cavallo di troia che Cefis e i suoi uomini di fiducia impiegarono per introdursi in ogni ambito delle società partecipate. Se dietro Steimetz vi era Verzotto, allora Verzotto voleva distruggere Cefis e il suo piano di egemonia comunista. In fin dei conti, tutta questa storia ha le sembianze di una lunga lunghissima resa dei conti fra partigiani bianchi e rossi, fra partigiani e indipendentisti mafiosi. Una vicenda ancora troppo nebulosa per poter essere consegnata alla Storia.