Roberto Abraham Scaruffi

Wednesday, 28 August 2013


Maestosa cazzata a Milano

c’era un grosso rudere che…

lo vedevi
passandoci accanto colla filovia
(la novanta o la novantuno:
dipende dal verso
in cui vuole andare uno)
e pensavi: che tristezza:
un cinema così grosso ma
vuoto di pellicole e moquette,
di poltroncine,
di cassiere  e di biglietti:
che groppo in gola:
un cinema senza immagini
né cinefili,
senza bambini noiosi,
né coppiette né sporcaccioni,
senza popcorn,
senza scene madri né padri
senza sorprese, né delusioni.
che disdetta un cinema senz’anima!
poi tutt’a un tratto…
degli amici nostri scrupolosi,
gente varia, sparpagliata,
giovane o giovanile, non sto qui a dire,
quella tristezza l’ha occupata
dissolvendola
con idee suoni parole profumi colori,
diversi ragionamenti e qualche risata:
quel vuoto era stato riempito
un po’ di soppiatto:
eè ovvio: qui a Milano ogni gesto culturale
intelligente, generoso, solidale
così va fatto:
con delicatezza “illegale”.
a guardarla bene quella roba
più che a un’occupazione
somigliava a un estremo tentativo
di rianimazione.
poi, a un altro tratto, tutto diverso,
delle divise con dentro
dei tipi estremamente tristi,
seguendo un copione un po’ violento,
trito e ritrito, visto e rivisto
nei peggiori b-movies
(del filone macabro “gli sgomberi”)
si son date da fare
per restituire all’ex cinema Maestoso
la più buia vuota e puzzolente e muta tristezza:
l’inutilità pubblica,
magari in attesa di qualche privatissima
speculazione edilizia.
ora, mi piacerebbe sapere…
– così: per cultura generale,
mica voglio fargli del male –
chi è quel gran testa
di pongo avariato,
quel tizio
che lo sgombero ha ordinato?
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SEI PICCOLE ESCURSIONI

PICCOLA ESCURSIONE N° 1: TI SPIEGO
adesso faccio, per via della gamba e tutto quanto
(che anche a parlarne mi stanco),
solo delle piccole escursioni:
o incursioni nel sole, tra una pioggerella
e l’altra, di montagna:
per dei motivi miei estetici non cerco tintarella,
ma boschi e prati
e sassi e aria e odori buoni e luce e suoni…
come non ci capitava da parecchi anni:
adesso è, a suo modo, una continua scoperta.
tutto qui? sì.
PICCOLA ESCURSIONE N° 2: LO SGUARDO GIUSTO
mi sembravano lucciole:
eran mie traveggole:
ma, sotto sotto, lo sapevo
che non potevan esserlo:
a quell’ora del giorno
le vere lucciole non luccicano:
si commiserano perchè son bruttarelle.
ho spostato la testa, piegando il collo
un po’ di qui e un po’ di là
per aggiustare lo sguardo
quel tanto da vederci meglio:
e ho visto quel che stava succedendo
sotto il mio naso, all’altezza del poggiolo
dove sedevo:
sui rami di larici, abeti, pini:
in cima alle foglie,
che son come aghetti fini fini,
stavano appena appoggiate
delle gocce
della pioggia di dieci minuti prima:
resistevano in bilico
e di sbieco erano infilzate
da sottilissimi raggi
del sole che a quell’ora splendeva
su tutto il mondo umido:
poco prima d’esalare
l’ultimo respiro, evaporando,
queste gocce acrobate e martiri
restituivano
al sole, al mondo intero e a me
un briciolo di luce riflessa,
bianchissima e irradiante
come il luccichio
che le sante lucciole,
di notte, intermittenti,
regalano.
PICCOLA ESCURSIONE N° 3: UN POSTO SENZA IL SUO INVERNO
c’è un posto, qui
tra le montagne
della mia vacanza
che ci vorrebbe Sergio Leone
per raccontarlo veramente
con appropriate riprese
e qualcuno di quei ceffi
che popolano i suoi peggiori incubi.
io me lo ricordo d’inverno
e vagamente.
ora: una specie d’albergo deserto,
una baita vuota e uno chalet
senza perché
ma, soprattutto, da un lato scosceso,
gli impianti rugginosi di risalita
fermi e senza vita
come certe miniere d’oro
esaurite e abbandonate.
senza la folla invernale,
sciante e abbronzante,
è tutto, davvero, diverso:
fa quasi paura, io mi sento sperso.
a consolare un po’
questo villaggio abbandonato
colle insegne
dei saloon e dei solarium
che cigolano e sbattono
a ogni alito di vento
scorgo soltanto
un pezzo di prato,
umido, antico di torba
e verde
d’una verdissima erba,
forse ha in serbo anche piccoli giunchi
e rospi e salamandre e larve d’insetti.
PICCOLA ESCURSIONE N° 4: ALLA MECCA DEL MIO COLLEGA
CICLISTA
comodissimamente trasportato
su un veicolo imprestato,
una specie di tour mi son fatto:
oltre confine, ma con nonchalance:
praticamente ho eseguito
un sopralluogo
proprio su uno dei due colli
più temibili
del Tour de France:
in effetti, allungando il collo mio
(ma neanche tanto)
dal finestrino del nostro bolide
quasi potevo leggere
il numerino della taglia
che sbucava in fondo a destra dalla maglia
di ogni ciclista inerpicantesi
lungo le salite e i tornanti:
non eran pochi, ma frotte, proprio tanti:
ansimanti, sudati, cianotici o paonazzi,
colle borracce e coi crampi…
ma tutti contenti.
io stavo male,
soltanto a vederli.
arrivati in cima al colle,
– che a dire il vero… è un valico, un passo –
appoggiato tranquillamente
al cofano,
bluffando uno sguardo da esperto
(che mi riesce benissimo, avendo io
in ufficio un collega ciclistissimo),
valutavo via via la pedalata
di ciascuno dei nuovi arrivati:
i più disinvolti, i più scoppiati.
PICCOLA ESCURSIONE N° 5:
CHEZ NOUS
questa è un’escursione
senza nemmeno
aprire la porta
e scendere le scale:
la casa, per me, è una sola stanza
ci siamo noi,
c’è musica, c’è libri in abbondanza,
c’è vino e pane e formaggio dei dintorni,
se si guarda fuori dalla grande finestra,
coccolandosi:
il rettangolo mostra alberi e montagne e nuvole.
c’è tutto in questa stanza,
che è un casa: più di abbastanza.

ESCURSIONE N° 6: OLTRE LE CASE SUL POGGIO
in qualche maniera,
oltre lo sguardo, oltre la curva
e la fonte e il pascolo:
un’escursione al di là
delle casematte
che vera follia raccontano,
se vuoi ascoltare.
fino al limitare del Grande Bosco,
buon nascondiglio
per il mirtillo, il fungo sanguigno,
forse l’orso, il cinghiale di certo,
e poi l’ansia e il capriolo.
seduti su un vecchio tronco tagliato
precisamente a metà, per il lungo,
noi stiamo anche qualche
quarto d’ora
a scrutare i verdi diversi del sottobosco:
una colata di colori che dà da pensare…
perchè si muovono un po’:
è il vento dopo la pioggia:
in basso mescola e carezza,
in alto tra i larici suona in maniera speciale.






SEI PICCOLE ESCURSIONI

PICCOLA ESCURSIONE N° 1: TI SPIEGO
adesso faccio, per via della gamba e tutto quanto
(che anche a parlarne mi stanco),
solo delle piccole escursioni:
o incursioni nel sole, tra una pioggerella
e l’altra, di montagna:
per dei motivi miei estetici non cerco tintarella,
ma boschi e prati
e sassi e aria e odori buoni e luce e suoni…
come non ci capitava da parecchi anni:
adesso è, a suo modo, una continua scoperta.
tutto qui? sì.
PICCOLA ESCURSIONE N° 2: LO SGUARDO GIUSTO
mi sembravano lucciole:
eran mie traveggole:
ma, sotto sotto, lo sapevo
che non potevan esserlo:
a quell’ora del giorno
le vere lucciole non luccicano:
si commiserano perchè son bruttarelle.
ho spostato la testa, piegando il collo
un po’ di qui e un po’ di là
per aggiustare lo sguardo
quel tanto da vederci meglio:
e ho visto quel che stava succedendo
sotto il mio naso, all’altezza del poggiolo
dove sedevo:
sui rami di larici, abeti, pini:
in cima alle foglie,
che son come aghetti fini fini,
stavano appena appoggiate
delle gocce
della pioggia di dieci minuti prima:
resistevano in bilico
e di sbieco erano infilzate
da sottilissimi raggi
del sole che a quell’ora splendeva
su tutto il mondo umido:
poco prima d’esalare
l’ultimo respiro, evaporando,
queste gocce acrobate e martiri
restituivano
al sole, al mondo intero e a me
un briciolo di luce riflessa,
bianchissima e irradiante
come il luccichio
che le sante lucciole,
di notte, intermittenti,
regalano.
PICCOLA ESCURSIONE N° 3: UN POSTO SENZA IL SUO INVERNO
c’è un posto, qui
tra le montagne
della mia vacanza
che ci vorrebbe Sergio Leone
per raccontarlo veramente
con appropriate riprese
e qualcuno di quei ceffi
che popolano i suoi peggiori incubi.
io me lo ricordo d’inverno
e vagamente.
ora: una specie d’albergo deserto,
una baita vuota e uno chalet
senza perché
ma, soprattutto, da un lato scosceso,
gli impianti rugginosi di risalita
fermi e senza vita
come certe miniere d’oro
esaurite e abbandonate.
senza la folla invernale,
sciante e abbronzante,
è tutto, davvero, diverso:
fa quasi paura, io mi sento sperso.
a consolare un po’
questo villaggio abbandonato
colle insegne
dei saloon e dei solarium
che cigolano e sbattono
a ogni alito di vento
scorgo soltanto
un pezzo di prato,
umido, antico di torba
e verde
d’una verdissima erba,
forse ha in serbo anche piccoli giunchi
e rospi e salamandre e larve d’insetti.
PICCOLA ESCURSIONE N° 4: ALLA MECCA DEL MIO COLLEGA
CICLISTA
comodissimamente trasportato
su un veicolo imprestato,
una specie di tour mi son fatto:
oltre confine, ma con nonchalance:
praticamente ho eseguito
un sopralluogo
proprio su uno dei due colli
più temibili
del Tour de France:
in effetti, allungando il collo mio
(ma neanche tanto)
dal finestrino del nostro bolide
quasi potevo leggere
il numerino della taglia
che sbucava in fondo a destra dalla maglia
di ogni ciclista inerpicantesi
lungo le salite e i tornanti:
non eran pochi, ma frotte, proprio tanti:
ansimanti, sudati, cianotici o paonazzi,
colle borracce e coi crampi…
ma tutti contenti.
io stavo male,
soltanto a vederli.
arrivati in cima al colle,
– che a dire il vero… è un valico, un passo –
appoggiato tranquillamente
al cofano,
bluffando uno sguardo da esperto
(che mi riesce benissimo, avendo io
in ufficio un collega ciclistissimo),
valutavo via via la pedalata
di ciascuno dei nuovi arrivati:
i più disinvolti, i più scoppiati.
PICCOLA ESCURSIONE N° 5:
CHEZ NOUS
questa è un’escursione
senza nemmeno
aprire la porta
e scendere le scale:
la casa, per me, è una sola stanza
ci siamo noi,
c’è musica, c’è libri in abbondanza,
c’è vino e pane e formaggio dei dintorni,
se si guarda fuori dalla grande finestra,
coccolandosi:
il rettangolo mostra alberi e montagne e nuvole.
c’è tutto in questa stanza,
che è un casa: più di abbastanza.

ESCURSIONE N° 6: OLTRE LE CASE SUL POGGIO
in qualche maniera,
oltre lo sguardo, oltre la curva
e la fonte e il pascolo:
un’escursione al di là
delle casematte
che vera follia raccontano,
se vuoi ascoltare.
fino al limitare del Grande Bosco,
buon nascondiglio
per il mirtillo, il fungo sanguigno,
forse l’orso, il cinghiale di certo,
e poi l’ansia e il capriolo.
seduti su un vecchio tronco tagliato
precisamente a metà, per il lungo,
noi stiamo anche qualche
quarto d’ora
a scrutare i verdi diversi del sottobosco:
una colata di colori che dà da pensare…
perchè si muovono un po’:
è il vento dopo la pioggia:
in basso mescola e carezza,
in alto tra i larici suona in maniera speciale.








PICCOLA ESCURSIONE N° 1: TI SPIEGO
adesso faccio, per via della gamba e tutto quanto
(che anche a parlarne mi stanco),
solo delle piccole escursioni:
o incursioni nel sole, tra una pioggerella
e l’altra, di montagna:
per dei motivi miei estetici non cerco tintarella,
ma boschi e prati
e sassi e aria e odori buoni e luce e suoni…
come non ci capitava da parecchi anni:
adesso è, a suo modo, una continua scoperta.
tutto qui? sì.
PICCOLA ESCURSIONE N° 2: LO SGUARDO GIUSTO
mi sembravano lucciole:
eran mie traveggole:
ma, sotto sotto, lo sapevo
che non potevan esserlo:
a quell’ora del giorno
le vere lucciole non luccicano:
si commiserano perchè son bruttarelle.
ho spostato la testa, piegando il collo
un po’ di qui e un po’ di là
per aggiustare lo sguardo
quel tanto da vederci meglio:
e ho visto quel che stava succedendo
sotto il mio naso, all’altezza del poggiolo
dove sedevo:
sui rami di larici, abeti, pini:
in cima alle foglie,
che son come aghetti fini fini,
stavano appena appoggiate
delle gocce
della pioggia di dieci minuti prima:
resistevano in bilico
e di sbieco erano infilzate
da sottilissimi raggi
del sole che a quell’ora splendeva
su tutto il mondo umido:
poco prima d’esalare
l’ultimo respiro, evaporando,
queste gocce acrobate e martiri
restituivano
al sole, al mondo intero e a me
un briciolo di luce riflessa,
bianchissima e irradiante
come il luccichio
che le sante lucciole,
di notte, intermittenti,
regalano.
PICCOLA ESCURSIONE N° 3: UN POSTO SENZA IL SUO INVERNO
c’è un posto, qui
tra le montagne
della mia vacanza
che ci vorrebbe Sergio Leone
per raccontarlo veramente
con appropriate riprese
e qualcuno di quei ceffi
che popolano i suoi peggiori incubi.
io me lo ricordo d’inverno
e vagamente.
ora: una specie d’albergo deserto,
una baita vuota e uno chalet
senza perché
ma, soprattutto, da un lato scosceso,
gli impianti rugginosi di risalita
fermi e senza vita
come certe miniere d’oro
esaurite e abbandonate.
senza la folla invernale,
sciante e abbronzante,
è tutto, davvero, diverso:
fa quasi paura, io mi sento sperso.
a consolare un po’
questo villaggio abbandonato
colle insegne
dei saloon e dei solarium
che cigolano e sbattono
a ogni alito di vento
scorgo soltanto
un pezzo di prato,
umido, antico di torba
e verde
d’una verdissima erba,
forse ha in serbo anche piccoli giunchi
e rospi e salamandre e larve d’insetti.
PICCOLA ESCURSIONE N° 4: ALLA MECCA DEL MIO COLLEGA
CICLISTA
comodissimamente trasportato
su un veicolo imprestato,
una specie di tour mi son fatto:
oltre confine, ma con nonchalance:
praticamente ho effettuato
un sopralluogo
proprio su uno dei due colli
più temibili
del Tour de France:
in effetti, allungando il collo mio
(ma neanche tanto)
dal finestrino del nostro bolide
quasi potevo leggere
il numerino della taglia
che sbucava in fondo a destra dalla maglia
di ogni ciclista inerpicantesi
lungo le salite e i tornanti:
non eran pochi, ma frotte, proprio tanti:
ansimanti, sudati, cianotici o paonazzi,
colle borracce e coi crampi…
ma tutti contenti.
io stavo male,
soltanto a vederli.
arrivati in cima al colle,
– che a dire il vero… è un valico, un passo –
appoggiato tranquillamente
al cofano,
bluffando uno sguardo da esperto
(che mi riesce benissimo, avendo io
in ufficio un collega ciclistissimo),
valutavo via via la pedalata
di ciascuno dei nuovi arrivati:
i più disinvolti, i più scoppiati.
PICCOLA ESCURSIONE N° 5: CHEZ NOUS
questa è un’escursione
senza nemmeno
aprire la porta
e scendere le scale:
la casa, per me, è una sola stanza
ci siamo noi,
c’è musica, c’è libri in abbondanza,
c’è vino e pane e formaggio dei dintorni,
se si guarda fuori dalla grande finestra,
coccolandosi:
il rettangolo mostra alberi e montagne e nuvole.
c’è tutto in questa stanza,
che è un casa: più di abbastanza.
ESCURSIONE N° 6: OLTRE LE CASE SUL POGGIO
in qualche maniera,
oltre lo sguardo, oltre la curva
e la fonte e il pascolo:
un’escursione al di là
delle casematte
che vera follia raccontano,
se vuoi ascoltare.
fino al limitare del Grande Bosco,
buon nascondiglio
per il mirtillo, il fungo sanguigno,
forse l’orso, il cinghiale di certo,
e poi l’ansia e il capriolo.
seduti su un vecchio tronco tagliato
precisamente a metà, per il lungo,
noi stiamo anche qualche quarto d’ora
a scrutare i verdi diversi del sottobosco:
una colata di colori che dà da pensare…
perchè si muovono un po’:
è il vento dopo la pioggia:
in basso mescola e carezza,
in alto tra i larici suona in maniera speciale.










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COMPLE… COSA?

metà di cento:
in giro ho già captato
più d’un commento:
sotto sotto, stando
a questo brusio di fondo
che intorno sento
sarei una specie di portento.
(che insensatezza!).
se mi schermisco,
indietreggio, mi scanso,
non mento:
non lo faccio
per complimento:
è soltanto quel che penso.
metà di cento:
io, in un certo senso,
me li sento…
sebbene non sia in grado
di spiegare
come e dove avverto il peso
di questo tragitto semi-secolare.
metà di cento
e, anche volendo, non mi pento:
ricaccio in gola lo scontento.
metà di cento:
se ci penso, tutto sommato,
non ho perso tempo.
metà di cento: non mento,
manco in questo momento,
se ammetto che mi sento
percorso, tra le ali e il duodeno,
come da un rivolo di sgomento.
metà di cento… e io che c’entro?
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NOI BUCHIAMO

stavo zoppicando
a velocità sostenuta
sul solito marciapiede
che mi conduce
al solito posto
di lavoro
malamente salariato,
quando
m’imbatto in certi
nuovi ostacoli
frapposti nottetempo:
sbirciando oltre
le transenne disposte
a proteggere
dai miei passi gommati
(che controsenso!)
porzioni incomprensibili
d’asfalto malandato
scorgo e ammiro
a bocca spalancata
dei bei macchinari
piccoli, un po’ zozzi
ma superdotati
d’aggeggi minacciosi
iper-dentati
pronti, da un momento
all’altro,
ad azzannare o grattugiare
o ridurre in briciole
il manto grigio e nero
e bluastro
di quell’asfalto
irregolarmente ondulato.
guardo meglio
e individuo degli individui,
anzi, no:
dei fratelli in canottiera,
degli uomini irsuti
che dimostrano possedere
una speciale confidenza
con quei macchinari parcheggiati.
qualcosa suggerisce
che in men che non si dica
passeranno all’azione:
faranno fatica rumore polvere e distruzione.
io, prima che scoppi il finimondo,
m’avvicino a un terzetto inoperoso
di loro
e, con lo sguardo rivolto al più peloso,
chiedo, curioso
ma con tono vagamente complice:
cosa fate di bello?
… che c’è da metterci sotto
questo stanco marciapiede?
quasi in coro mi rispondono:
boh, noi buchiamo…
poi passa un’altra ditta (di tubi)
a ficcarci il ripieno.
il tipo irsutissimo,
interpretando correttamente
la mia delusione
dinanzi alla vaghezza di tale
informazione,
allarga le braccia in un gesto
che dice più di mille parole:
se ben osservato, il suo gesto dice:
eh, amico… è la solita
vecchia storia della separazione
tra tecnica e sudore
tra prodotto e produttore,
tra lavoro e lavoratore
tra compagno e collega,
tra problema e soluzione:
in una parola
è la solita vecchia merda
dell’alienazione!
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TUTTI

in ospedale siamo tutti vecchi,
sordi, impreparati, all’erta:
per il turno, la visita, l’iniezione,
i raggi ics, la pipì, la colazione.
in ospedale tutti siamo tutti,
di nuovo, bambini impazienti.
siamo tutti pazienti esperti e preoccupati:
per la femorale, la lombare, la tac
– col contrasto e senza contrasto –
i cuscini, il test, l’endovena
la luce, il buio, il prurito, il futuro
e i rumori, il silenzio e la cena.
in ospedale
siamo tutti stranieri disorientati.
in ospedale basta un attimo e ci si perde.
in ospedale, se ti distrai son guai.
in ospedale il tempo non passa mai.
solo in sala operatoria ti regalano
una specie di tregua:
in cambio dell’autorizzazione
che si dà loro a incidere, a tagliare
a estrarre, a sciogliere e legare,
sistemare,
a farti sanguinare e poi suturare,
di solito, si ha diritto
a una dose decente
di qualche droga potente.
in galera non so.
però, m’han detto ch’è quasi uguale.
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LO STRUSCIO E IL FASCIO

domenica scorsa, col gelato nel cono,
le braghe corte, gli occhiali da sole
e tutto quanto,
stavo facendo con la Yoko
un po’ di struscio.
tutt’a un tratto vediamo
un manifesto fascio:
della robba stampata…
de’ casa pau’:
si stava suicidando:
penzolando da un lato
già da sé
quel molesto
manifesto
dei fasci de’ casa pau’
era stato
male appiccicato.
“diamogli una mano”,
pensiamo:
accompagniamo
il distaccamento
dell’affissione abusiva,
aiutiamola a passare
a miglior vita:
in quattro e quattr’otto
le nazi-baggianate
risultano belle…
appallottolate.
penso: perfetto,
il fioretto è fatto.
manco per idea,
mi dice Yoko
e non lo dice per gioco:
inizia la ricerca
del bidone giusto,
per la carta!
di modo che anche
‘stammerda fascista
stampata
possa – tramite
un procedimento
quasi magico –
esser riciclata
e riutilizzata
magari per produrre
un pamphlet
nonviolento, verde,
ecologista
e – sotto sotto – antifascista.
sembra una storia da poco
ma più ci penso
più mi convinco:
è davvero diabolica ‘sta Yoko!
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ROSA

Rosa non è facile
da imprigionare
in versi
o in anche in altri schemi,
pure nei i più diversi.
Rosa… si dice
compia gli anni
ogni anno
come chiunque di noi,
ma è solo una stupida
convenzione
a cui lei non presta
la minima attenzione.
e… si vede, eccome!
Rosa è un’ex giornalista
che per troppo tempo,
sotto gli abiti di pelle
della trasvolatrice
intercontinentale
ha tenuto nascosta
la sua anima di artista.
dovreste vedere quanto son folli,
densi e belli
i suoi ultimissimi acquarelli!
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COSA VUOL DIRE GIRARE IN GIRO CON UN’ERPETOLOGA

se per compagna
ti scegli – tra tante
scienziate
ch’avresti potuto
adocchiare
e in qualche
fantasiosa maniera
convincere
che la tua compagnia
è la migliore che ci sia –
se ti scegli un’erpetologa,
dicevo,
(e lei ti sopporta anche privo
di squame),
il test decisivo
per capire il tipo e la sintonia
va svolto in campagna
o, meglio ancora, in montagna.
l’altro giorno, per dire,
stavamo percorrendo in auto
la stradicciola che bordeggia
a nastrino grigio
il Lago di Campotosto,
dalle parti del Gran Sasso,
e il magnifico esemplare
d’erpetologa
che m’accompagna,
accompagnando io lei,
come posso,
era alla guida del veicoletto
del car sharing,
quando improvvisamente
inchioda: oh! mio dio!
abbiamo stirato sull’asfalto
un qualche rettile?
(colla coda dell’occhio
lei ne aveva intravisto la coda).
cavolo! trattasi di bella viperella!
ma mica una qualsiasi:
a scaldarsi sull’asfalto infuocato
s’attardava un raro soggetto:
una vipera aspis melanica!
(minchia!)
si godeva a tal punto
il tepore del bitume
da prendersela comodissima:
lasciando addirittura il tempo
all’erpetologa pilota
di scender dal veicolo
per correre a controllarne
a spanne
lo stato di salute,
tornare come un fulmine
nell’abitacolo,
prelevare la macchinetta delle foto,
rimbalzare all’indietro,
inquadrare,
mettere a fuoco e scattare:
un’istantanea con al centro
il bel musetto
della bestietta strisciante
ma black and proud.
citato quest’aneddoto,
va detto
che, il più delle volte,
l’erpetologa è insaziabile
– naturalisticamente parlando –
così, come nel caso
del bell’esemplare in questione
(che, da un certo tempo osservo,
esamino, misuro ad abbracci,
monitoro con notevole
attenzione e passione)
può capitare
che s’applichi pure
ad altre branche
delle scienze e degli amori naturali,
solo apparentemente
incongrue:
per esempio,
al birdwatching casuale
(nonostante la miopia)
e all’ornitologia.
per essere preciso, la mia
di questa branca
predilige la sotto-sezione
dell’ascolto, riconoscimento
e riproduzione
dei suoni più svariati
emessi da pennuti disparati:
cinguettii, urletti, fischi, canti
gracchii e pigolii…
lei, su richiesta gentile,
saprebbe addirittura tubare:
con me, se non mi dimentico di darle
il mangime alle ore giuste, un po’ lo fa.
poi, nel tempo libero che le lasciano bisce
e rospi e cuculi e fringuelli,
la scienziata di cui mi sto imbottendo il cervello
si diletta con piante e fiori:
ne alleva di selvatici anche in casa, sul terrazzo:
infatti, l’erpetologa ha una concezione tutta sua
del giardinaggio,
a cui applica le sorprendenti tecniche
dette “lasciamo che la natura faccia il suo corso”
o “quel che viene viene”
o, ancora: “se dei semini qualsiasi son finiti in
quel vaso ci dev’essere un motivo!
non può essere un caso”.
io (noto e temuto in tutti i giardini, orti e
terrazzi, dove mi chiamano
“L’Angelo Sterminatore”,
tanto me ne intendo)
non commento né intervengo,
osservo e prendo qualche appunto,
come in questo momento.
ma, a parte le facili ironie
e gli affettuosi sarcasmi,
devo registrare, però,
che di cose interessanti,
già in questi brevi tempi
che ci accompagniamo,
ne ho imparate:
per dirne una:
che bel passatempo
può diventare
l’applicazione rigida,
scrupolosa e integrale
di ogni norma, regola,
dettame, fino alla più
originale pensata
nella raccolta casalinga
dei rifiuti, differenziata!
oppure, adesso che ci penso:
lo studio metodico,
fino alla precisa memorizzazione
della lista degli ingredienti
scritti piccoli piccoli
su qualsiasi confezione:
colle lenti adatte
è uno spasso
e s’incamerano nozioni utilissime
per dare un po’ di verve
a ogni tipo di conversazione!
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MACERIE & DICERIE

l’altro
giorno a L’Aquila
son stato
e con occhi e orecchi
e narici e polpastrelli
(tutti miei!) ho costatato
che lì… lo Stato
ha scrupolosamente
abbandonato
un sacco di macerie
e puntelli e ponteggi
e divieti
nel centro dis/abitato.
ha pure distribuito
– più o meno –
altrettante
dicerie
(o “c.a.s.e.” grosse come bugie)*
nelle ben dilatate
e crateriche periferie.
devo dire che,
lubrificate
da un po’ di lacrime,
mi son girate
quelle cose che di solito
ti girano
quando proprio te le fan girare.
robetta, se penso agli abitanti:
quelli devono avere
ben più vorticosi giramenti!
..
* “Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili”Complessi Antisismici Sostenibili
Ecocompatibili”

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ALBERO AFFOLLATO

di fronte alla finestra di camera mia
sta sempre, impalato, un albero:
son fortunato,
ma non ne conosco l’essenza.
ho notato soltanto
che va a stagioni:
quando fa molto freddo è muto,
ma appena scatta l’ora x primaverile
suona a non finire:
è un modo di dire:
suona, per la precisione,
tra le cinque e le sei del mattino.
così, a orecchio, direi
che a quell’ora è fortunato:
dal baccano direi
che è un albero affollato
di cince, passeri, merli
e fringuelli.
l’albero di fronte
alla finestra,
a quell’ora che dicevo,
del mattino,
non è una pianta:
è un’orchestra.
io, quando sento, da letto,
tutto quel trambusto
non m’attardo:
mi alzo presto.
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