Lettere inviate e ricevute 15 agosto 2015
Dopo Grecia e Iran tocca a Cuba. L’episodio più sconvolgente se si pensa cosa è stata, per l’umanità migliore, la Cuba del Che, di Fidel, dei combattenti della Sierra, dei vincitori della Baia dei Porci, dell’irriducibile resistenza al cannibale del Nord, dei grandi della seconda generazione rivoluzionaria, come Perez Roque e Carlos Lage, cancellati con infamia perché oppositori della svolta che si andava sviluppando.
Quelli di “C’è vita a sinistra” camminano in mezzo al bosco, che è poi il 26-27% di cittadini italiani soprattutto di sinistra, accreditato ai 5Stelle, che formano l’unica opposizione effettiva a tutto ciò che la sinistra detesta e, aggirandosi con tanto di lampada di Diogene (“il manifesto”), continuano a chiedersi “dove sono gli alberi? ”Per contrappasso, invece, continuano a inebriarsi di tronchi vigorosi e chiome rigogliose, dove sta imperversando un disboscamento selvaggio. Si parla di Cuba, di cui chi scrive è stato da sempre sostenitore militante (vedi i film “El camino del sol”, “Americas Reaparecidas”, “L’asse del bene”). Ma prima si parla del continente per il quale Cuba è stato il faro di resistenza e l’innesco rivoluzionario per oltre mezzo secolo e che oggi è sotto il tiro del revanscismo colonialista Usa-UE a forza di terrorismo, complotti destabilizzatori, strangolamento economico, ricatti finanziari, sobillazione di minoranze.
Sul Venezuela da un anno e mezzo si abbatte la guerra strisciante degli Usa. Obama, Nobel della pace, feldmaresciallo di ben 7 guerre e di infinite operazioni sporche, incurante dell’osceno rovesciamento dei termini del conflitto, l’ha definita “una minaccia rara e straordinaria alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Per tutti è stata una dichiarazione di guerra. Reclutamento, foraggiamento, addestramento di elementi fascisti e razzisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica locale, tratti da un ceto di speculatori e redditieri alto-borghesi che, con Chavez e Maduro, si sono visti tagliare il cappio stretto da decenni al collo del popolo e del paese; mesi di terrorismo assassino (43 vittime) con pogrom in tutto il paese, strangolamento dell’economia e sabotaggio delle misure governative per il sostegno alle classi meno abbienti (poveri ridotti del 75%) mediante imboscamento di beni primari e loro contrabbando in Colombia, milioni di dollari a Ong imperialiste e agli esponenti della destra terrorista, campagne di diffamazioni tendenti a isolare il Venezuela dal contesto internazionale, innesco di conflitti con i vicini attraverso un intervento abusivo della Exxon in zone di mare assegnate al Venezuela, ma pretese dalla Guyana, infiltrazione di sicari dalla Colombia per attuare attentati ai dirigenti politici. E come apice dell’impudenza, la DEA, agenzia Usa per il narcotraffico e massima curatrice dello stesso nei domini Colombia, Perù, Centroamerica, Messico, Afghanistan, che accusa di narcotraffico Diodado Cabello, presidente del parlamento venezuelano e numero due dello Stato. Altre nefandezze di ogni genere.
Il Venezuela ha la colpa di aver sostituito Cuba come modello dell’emancipazione latinoamericana e della sua resistenza all’imperialismo, di aver respinto il trattato capestro di libero scambio con gli Usa, di aver adottato sistemi sociali, economici e di avanzamento democratico che determinano in tutto il mondo lo screditamento del modello neoliberista e di aver promosso, con enorme successo, passaggi verso l’integrazione latinoamericana nel segno della sovranità popolare e della giustizia sociale.
Illustrando al Consiglio politico dell’A.L.B.A, i piani di aggressione all’America Latina, il presidente Maduro ha detto: “I potenti, le antiche metropoli colonialiste, sembrano non voler apprendere la lezione che l’umanità colonizzata gli ha dato negli ultimi cent’anni. E’ evidente che nel Nord del mondo, dove sono le nuove metropoli imperialiste, si stanno attuando piani di guerra e di ricolonizzazione economica”.
Il Venezuela ha la colpa di aver sostituito Cuba come modello dell’emancipazione latinoamericana e della sua resistenza all’imperialismo, di aver respinto il trattato capestro di libero scambio con gli Usa, di aver adottato sistemi sociali, economici e di avanzamento democratico che determinano in tutto il mondo lo screditamento del modello neoliberista e di aver promosso, con enorme successo, passaggi verso l’integrazione latinoamericana nel segno della sovranità popolare e della giustizia sociale.
Illustrando al Consiglio politico dell’A.L.B.A, i piani di aggressione all’America Latina, il presidente Maduro ha detto: “I potenti, le antiche metropoli colonialiste, sembrano non voler apprendere la lezione che l’umanità colonizzata gli ha dato negli ultimi cent’anni. E’ evidente che nel Nord del mondo, dove sono le nuove metropoli imperialiste, si stanno attuando piani di guerra e di ricolonizzazione economica”.
Nell’Ecuador di Rafael Correa e del suo partito Alianza Pais, che gode tuttora del quasi 70% dei consensi, dopo il fallito colpo di Stato di settori della polizia nel 2010, gli Usa hanno allestito l’ennesima rivoluzione colorata facendo leva su settori indigeni da sempre subalterni alle classi ricche, istigate dalle solite Ong amerikane, legate al tuttora irriducibile ex-presidente (indigeno) Lucio Gutierrez, un burattino fascistoide degli Usa del tipo Menem in Argentina, Martinelli in Panama, Uribe in Colombia, il golpista Hernàndez in Honduras, spazzato via nel 2005 da una rivoluzione popolare ( i Forajidos) a cui la maggiore organizzazione indigena si è sottratta. In agosto la CONAIE, una delle federazione delle associazioni indigene, isolata dalle altre che sostengono il governo, diretta da Jorge Herrera con noti legami alla Cia, ha indetto una marcia di massa da varie parti del paese sulla capitale Quito, il 13 agosto giunta a destinazione e accampatasi. Era dichiarato l’intento di travolgere qualsiasi apparato di sicurezza, arrivare ai palazzi di governo e presidenza e tentare il colpo di Stato. A questa manifestazione, che Wikileaks ha rivelato concordata con l’ambasciata Usa, basata su parole d’ordine che accusano, in termini del tutto mistificati e strumentali, il governo della costituzione più ambientalista del continente, di sottrarre terre ai nativi e di favorire la multinazionali (Correa ha già distribuito 580mila ettari a 19mila comunità e altri 100mila titoli verranno assegnati), è assicurato l’appoggio dei ceti altoborghesi sconfitti dalla revolucion ciudadana. Alla sedizione di questi indigeni, cari a prescindere ai sinistrati italioti affetti da romanticismo primitivista, rispondono in questi giorni enormi manifestazioni popolari a difesa dalla rivoluzione.
L’Ecuador ha la colpa di aver respinto il trattato di libero scambio che lo avrebbe inchiodato alla manomorta dei gangster multinazionali, di aver cacciato dal paese “Manta”, la più grande base Usa nel continente, di partecipare agli organismi inter-latinoamericani di integrazione economica e politica, di aver sollevato dalla povertà milioni di ecuadoriani, di aver costituito uno Stato democratico multietnico e multinazionale, di aver espulso e messo sotto processo i predatori petrolieri OXI e Chevron, di associarsi agli altri paesi latinoamericani e nel mondo nella solidarietà ai paesi mediorientali aggrediti dall’imperialismo, di appoggiare il blocco mondiale alternativo dei BRICS. Ultimo peccato mortale, di aver voluto promulgare una legge sulle eredità (ora in corso di rinegoziato) che avrebbe colpito la trasmissione di immani ricchezze fisco-esenti.
Nel 2005, a Quito, intervistai l’allora presidente della CONAIE, Luis Macas. I suoi propositi spiegano le precedenti e attuali iniziative dell’organizzazione. Ostile alla rivoluzione dei Forajidos che aveva posto fine a una serie di despoti ladroni al soldo degli Usa, vaticinava la dissoluzione dello Stato plurinazionale e l’unificazione dei popoli indigeni di Ecuador, Bolivia e Perù in un’unica grande entità, reminiscenza dell’impero Inca, di natura rigorosamente etnicista e dalle nebulose connotazioni sociali ed economiche, tutto nel nome del “ritorno alle radici”. Un riordinamento dell’America Latina che assomiglia da vicino a quel Nuovo Medioriente che USraele sta cercando di erigere sui frantumi dei suoi Stati.
Bolivia, Paraguay, Argentina
Nel 2005, a Quito, intervistai l’allora presidente della CONAIE, Luis Macas. I suoi propositi spiegano le precedenti e attuali iniziative dell’organizzazione. Ostile alla rivoluzione dei Forajidos che aveva posto fine a una serie di despoti ladroni al soldo degli Usa, vaticinava la dissoluzione dello Stato plurinazionale e l’unificazione dei popoli indigeni di Ecuador, Bolivia e Perù in un’unica grande entità, reminiscenza dell’impero Inca, di natura rigorosamente etnicista e dalle nebulose connotazioni sociali ed economiche, tutto nel nome del “ritorno alle radici”. Un riordinamento dell’America Latina che assomiglia da vicino a quel Nuovo Medioriente che USraele sta cercando di erigere sui frantumi dei suoi Stati.
Bolivia, Paraguay, Argentina
Di altri esempi attuali di interventismo nordamericano nei paesi del Continente, sia consolidando la subalternità di quelli sottomessisi da tempo, sia aggredendo in varie forme i disobbedienti, ce ne sono quanti sono gli Stati latinoamericani e caraibici. Ci limitiamo a Bolivia, Paraguay e Argentina. Della Bolivia di Morales, che è stata la più dura nei provvedimenti verso diplomatici e Ong statunitensi e la più fervida nella solidarietà alle vittime dell’imperialismo, basta ricordare i continui tentativi di destabilizzazione affidati, vuoi a una infima minoranza indigena contraria al vitale collegamento con il resto del continente, vuoi agli ambienti reazionari secessionisti di terratenientes, annidati nella regione di Santa Cruz. La sua situazione è affine a quella dell’Ecuador. In Paraguay, come in Honduras, il golpe Usa, stavolta parlamentare, ma innescato da un sanguinoso pogrom organizzato dall’Alcoa, è riuscito, abbattendo il governo del presidente, “vescovo dei poveri” e amico dell’ALBA, Fernando Lugo
L’Argentina, si è sollevata con grande coraggio e determinazione dal crack del 2001, indotto dalla totale svendita del paese per mano del fiduciario delle multinazionali Menem e dal conseguente gigantesco indebitamento nei confronti di banche e FMI. Ha rifiutato la ricetta dei famigerati “aggiustamenti strutturali” dell’FMI e ha imposto la ristrutturazione del debito. Con i due Kirchner, Nestor e Cristina, che hanno dato vita a una forma più avanzata del peronismo di sinistra, promuovendo una forte riduzione della povertà, emancipando la propria economia e assumendo posizioni antimperialiste simili a quelle di Chavez, l’Argentina è tornata ai fasti di un paese prospero e sovrano.Intollerabile. L’imperialismo le ha lanciato contro di tutto, condito dalle solite diffamazioni,.poi propalate dal coro degli sguatteri mediatici (addirittura contro le Madres de Plaza de Majo, bandiera del riscatto. Vedi Guido Gazzoli su “Il Fatto Quotidiano” o, per l’Ecuador, Aldo Zanchetta sul sito “Comune Info”). In vista delle elezioni presidenziali di ottobre, le cui primarie sono state vinte dal kirchneriano Frente para la Victoria(FPV), è scattata l’escalation.
Prima la rivolta dei latifondisti di soia e affini contro una tassazione un po’ meno vantaggiosa sull’export. Poi i tumulti allestiti dal governatore di Buenos Aires, Macrì, di estrema destra, gli avvoltoi bancari, titolari dei residui non concordati del debito (8% del totale) che hanno trascinato il governo davanti a compiacenti giudici Usa, l’operazione “Amia”. “Amia” era la mutua ebrea argentina fatta saltare in aria nel 1994 provocando 85 morti. Un’operazione False Flag, se ce n’è una, che ha consentito a Israele di mettere nel mirino Cristina con l’accusa di voler coprire “i responsabili iraniani” (di un Iran che ha subito decine di attentati del Mossad e dei suoi ascari del MEK e non ne ha mai compiuto uno da nessuna parte). Mesi fa è stato ucciso un giudice, Alberto Nisman, con documentati legami con i servizi Usa, che aveva preparato un dossier di accuse a Cristina per il suo presunto insabbiamento delle indagini in cambio di (inesistente) petrolio iraniano. Il dossier è risultato un’accozzaglia di fole.
Come a Cuba, non poteva mancare il Papa a dare una manina. Subdolamente e incurante dell’assenza di qualsiasi indizio, ha alluso a un’Argentina, primattore del narcotraffico latinoamericano. A confortarne le illazioni si è subito mosso un suo intimo, Gustavo Vera, responsabile del “Movimiento Bien Comun”, che ha accusato l’Argentina di essere “produttore di droga e primo consumatore dell’America Latina e di non combattere il fenomeno, ma di tariffarlo”. Man mano che l’Argentina, prossima a far parte dei BRICS, con le loro alternative finanziarie ed economiche, si avvicinerà alle presidenziali, vedrete che giochetti s’inventeranno,
Tutti questi paesi avranno difetti e ritardi, ma ognuno è governato cento volte meglio di qualsiasi paese della sedicente “comunità internazionale”. Non basta? Oggi come oggi basta.
Patria o muerte? Muerte.
Tutti questi paesi avranno difetti e ritardi, ma ognuno è governato cento volte meglio di qualsiasi paese della sedicente “comunità internazionale”. Non basta? Oggi come oggi basta.
Patria o muerte? Muerte.
Sul Malecon, lungomare dell’Avana, dove avevo filmato le centinaia di bandiere nere a ricordo delle vittime degli Usa (ora scandalosamente ammainate, mentre i tre Marines che avevano ammainato la bandiera Usa nel 1959, ora l’hanno rialzata: uno schiaffone al popolo cubano) e dai cui muri si giurava, sotto i volti del Che e di Fidel, eterna lotta all’imperialismo, ora sventolano, appaiate a quelle di Cuba, le bandiere a stelle e strisce, ad accogliere degnamente il papa. Quelle che rappresentano un potere che ha ucciso col terrorismo oltre 3000 cubani e per 638 volte ha tentato di uccidere Fidel. Le stesse che le masse latinoamericane bruciano e calpestano in tutto il continente..Quelle che stanno nel logo del National Endowment for Democracy (NED) e di altre “Ong” analoghe, il bieco organismo cripto-Cia delle rivoluzioni colorate e dei regime change, a cui, in piena euforia riconciliatoria Cuba-Usa, il governo Obama ha proprio ora stanziato 30 milioni “per programmi di promozione della democrazia a Cuba e di rafforzamento della società civile”. Quelle di un paese cui Raul chiede di benevolmente rimuovere Cuba dalla lista dei paesi sponsor di terrorismo e che, essendo il massimo autore e mandante di terrorismo nel mondo, viene per questo applaudito. Quanto è onesto lei!
Ai molti, spesso comodamente sistemati in una solidarietà a Cuba che, se assicura continuità e tranquillità di status e benefit, vacanze e onorificenze, va perdendo ogni giustificazione ideologica, sarà entrata in un orecchio e subito uscita dall’altro la frase da Raul Castro rivolta a Obama “Lei è una persona onesta”. A quell’Obama che è il protagonista, con sette aggressioni e associato corredo terroristico, della più estesa carneficina della storia, impegnato nello stesso momento a sovvertire violentemente la comunità latinoamericana di cui Cuba è parte, a soffocare nel sangue o nell’usura istanze di libertà e diritti umani ovunque si manifestino, strumento della riduzione degli Usa a Stato di Polizia agli ordini di Wall Street, comandante in capo di un armageddon che dovrà distruggere la Russia e chiunque si opponga a questo Quarto Reich. Combacia, questo demenziale tributo all’onestà del serial killer yankee, con la promessa fatta al controrivoluzionario Bergoglio, travestito da Che Guevara per ri-uccidere Che Guevara, quando Raul gli ha detto: “Sono pronto a farmi cattolico e ad andare in chiesa a pregare”. Una bella boccata di “oppio dei popoli”.
La strada lastricata di buone intenzioni (quelle note) da tre pontefici cattolici, in connivenza-concorrenza con le dilaganti sette evangeliche Usa, non poteva non condurre verso l’inferno.
La strada lastricata di buone intenzioni (quelle note) da tre pontefici cattolici, in connivenza-concorrenza con le dilaganti sette evangeliche Usa, non poteva non condurre verso l’inferno.
Consapevole del contributo, Obama ha voluto rendere grazie per la “svolta” a Bergoglio. Se inferno è, come risulta facendo un giro d’orizzonte, il capitalismo nella sua attuale espressione forsennatamente necrofora. Fidel lo diceva fino a poco tempo fa. Strada che corre parallela alla marcia dalla nuova dirigenza politica del partito e del parlamento. Dissesto economico e relativo degrado sociale furono provocati, sì, dal bloqueo (peraltro ampiamente perforato negli anni recenti da crescenti rapporti con America Latina e altre parti del mondo), ma in misura maggiore da corruzione endemica, burocrazia proterva e ossificata e, dunque, incompetenza, inefficienza, cialtronaggine a tutti i livelli dello Stato, amministrativi, produttivi, di distribuzione, dei servizi. C’è una data che mi sembra evidenziare una svolta: quella della rottamazione di ciò che era stata Cuba, ultimamente più nell’immaginario collettivo che nella realtà, il 2 marzo 2009. Un anno prima Raul era diventato Presidente e successore di Fidel.
Alle quasi idi di marzo, in una notte, vengono rimossi 60 dirigenti dello Stato, in testa Felipe Perez Roque, amatissimo leader della seconda generazione rivoluzionaria, ministro degli esteri rispettato in tutto il mondo antimperialista, considerato fin lì delfino di Fidel, di cui era stato segretario per anni, e Carlos Lage, vicepresidente. Li sostituiscono perlopiù gli ottuagenari comandanti delle forze armate. Per mesi nessuna spiegazione viene data al popolo cubano e ai suoi amici nel mondo, per poi uscirsene con un video in cui Felipe e compagni scherzano lievemente sulle condizioni del vecchio Fidel, accompagnato da oscure accuse di connivenza col nemico. Tutti a Cuba sapevano che Perez Roque era a capo dell’ala più intransigente nel contrasto con gli Usa e dunque incompatibile con il rapprochement che si stava avviando. Poi è un precipitarsi verso il “socialismo aggiornato” sul modello vietnamita..Alla Chiesa la facoltà di intervenire sulle comunicazioni, istruzione, sanità, fin lì monopolio rivoluzionario. Mezzo milioni di dipendenti statali licenziati e nominati cuentapropistas, imprenditori in proprio, ma senza il supporto basilare di investimenti e infrastrutture. Finiranno a infestare Cuba con migliaia di bancarelle di chincaglierie e bibite fatte in casa. Mezza economia cubana è privatizzata.
Poi la pacificazione con il nemico mortale che, per 50 anni, ha invaso, terrorizzato, destabilizzato il paese. Riconoscimenti di probità a Obama, apertura agli investimenti multinazionali, agrobusiness, petrolio, farmaceutica, edilizia, turismo, trasporti compresi. Bandiere statunitense e cubana appaiate fraternamente sul Malecon. Tutto per tutti i gusti dei milionari yankee. Apertura delle ambasciate, quelle che a Cuba e in tutta l’America Latina hanno per attività principale sabotaggi, complotti, infiltrazioni, corruzione, sovversioni. La situazione economica e sociale del popolo cubano era al limite del tragico.
Ma uscirne aprendo al più grande vampiro economico, aggressore dell’America Latina, devastatore di intere regioni del mondo, padrino di ogni terrorismo, proprio nel momento in cui affonda i suoi artigli sui paesi che a Cuba hanno assicurato la sopravvivenza dopo il crollo dell’URSS e della catastrofica divisione internazionale del lavoro che questa aveva imposto agli alleati? Sostituire a Carlos Lage, protagonista dell’economia socialista, l’ex-numero uno dell’FMI divoratore del welfare dei paesi azzannati, Strauss Kahn, col titolo di consulente economico dell’Avana, come rivelano fonti ufficiali francesi al sito “Politico” , è un passo verso l’economia socialista, o verso la globalizzazione dell’economia di mercato? Evitare di porre la chiusura di Guantanamo, pozzo nero di un impero criminale, a precondizione di ogni ambasciata e ogni apertura, piuttosto che rivolgere a Obama una gentile richiesta di restituzione, rappresenta un tributo ai diritti umani e una solidarietà agli ingiustamente detenuti e ferocemente torturati?
E gliene cale qualcosa, ai rivoluzionari fattisi pacificatori, di questa ciliegina sulla torta di cianuro che il Pentagono, è notizia ultimissima, non riportata dai media cubani o altri, lancia una Forza Speciale per l’America Latina? Si chiama “Punta di lancia JHSV”, è stazionata nella base Usa di Palmerola in Honduras, comprende centinaia di truppe, elicotteri, mezzi da sbarco, verrà utilizzata per “condurre operazioni in America Latina” e si congiungerà con 3000 Marine che in Perù, a settembre, condurranno manovre su vasta scala. Solo, ovviamente, per consolidare gli armoniosi rapporti con Cuba…E nemmeno ha fatto sollevare sopracciglia a qualcuno che gli Usa abbiano minacciato il Salvador di tagliargli gli aiuti e infliggergli sanzioni finanziarie per avere quel governo sostenuto la richiesta di cancellare le sanzioni al Venezuela.
Non significa, tutto questo, una pugnalata alle spalle di quella che si chiama Nuestra America, oltretutto inferta da una zattera dalla dubbia navigazione? Il buonismo diplomatico di Obama, pari a quello impiegato per disossare l’Iran dall’interno, anziché con gli utopici isterismi bellici di Netaniahu, serve a corrompere Cuba, società e apparato politico, là dove mezzo secolo di aggressività non è servita a nulla. Intanto al vertice Africa Asia America Latina a Bandung, il Venezuela ha chiamato a un’alleanza del Sud del mondo per affrontare il dominio imperialista. Evo Morales e Rafael Correa hanno invocato una mobilitazione generale contro le trame dell’imperialismo Usa. Un messaggio neanche tanto trasversale a Raul?
Il “disgelo” con l’iceberg del cinismo serve a togliere di mezzo il principale scoglio ideologico e geopolitico che impedisce agli Usa di piombare sulle riserve petrolifere del Venezuela, le più grandi del mondo e a cancellare quello che è diventato il modello antiliberista e antimperialista di tutta l’America Latina. Raul, 85enne uomo solo al comando di una rivoluzione in disarmo, non può non esserne cosciente. I bonzi e saprofiti della solidarietà organizzata internazionale se ne fregano.Vorremmo essere smentiti e intanto manteniamo tutto il nostro affetto e la nostra vicinanza al popolo che ci ha insegnato tante cose. Ma i compromessi storici tra diseguali si sa dove incominciano e s’è visto dove vanno a finire. Come Pasolini, io so. Io so cosa ne avrebbe detto Che Guevara. Anche se non ne posso esibire le prove.
Fulvio Grimaldi – fulvio.grimaldi@gmail.com