Roberto Abraham Scaruffi

Friday, 3 February 2012



Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)
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Direzione Nazionale


Milano, 02.02.12

Prima udienza del processo per il sito “Caccia allo Sbirro”:
nessuna prova contro i compagni inquisiti, mille prove che invece dimostrano il carattere persecutorio del procedimento orchestrato dal PM Morena Plazzi di Bologna!

Martedì 31 gennaio si è aperto a Bologna il processo contro due membri del P.CARC, un membro del Sindacato Lavoratori in Lotta e un altro compagno accusati di “violazione della legge sulla privacy, istigazione a delinquere e diffamazione” perché, secondo il PM Morena Plazzi, avrebbero creato e collaborato con il sito “Caccia allo Sbirro”[http://cacciaallosbirro.awardspace.info/] realizzato dal (nuovo)Partito comunista italiano.

Nel corso dell’udienza, presieduta dal giudice Pecorella, sono stati ascoltati i testimoni dell’accusa, i quali con le loro risposte, a differenza delle aspettative del PM, hanno dimostrato ampiamente l’assenza di prove e di elementi su cui poggia l’inchiesta orchestrata dalla Plazzi.

I due agenti della Polizia Postale che nel corso dell’inchiesta hanno esaminato il materiale sequestrato agli imputati e il loro stesso dirigente hanno ben spiegato, nel corso del contro-interrogatorio effettuato dalla difesa, che il sito “Caccia allo sbirro” è registrato negli USA e che l’unico modo per avere delle informazioni certe su chi lo ha creato e chi lo gestisce è rivolgersi al provider statunitense che ospita la pagina web. Cosa che il PM Plazzi ha provato a fare nel corso dell’inchiesta, attraverso una rogatoria internazionale inoltrata alle Autorità USA, senza però ricevere risposte: in altre parole, dopo tre anni dall’apertura dell’inchiesta è sconosciuta l’identità di chi ha creato e gestisce il sito!

Se a questo si unisce il fatto che nel materiale documentale sequestrato ai compagni imputati non vi è nulla (password, mail, ecc.) che li colleghi direttamente al sito, si comprende con estrema facilità che mancano le principali prove per imbastire contro di loro un procedimento giudiziario!

Dal contro-interrogatorio degli stessi agenti si è evinto inoltre che è impossibile capire chi gestisce il sito o vi collabora postandovi delle foto o dei commenti se le persone in questione utilizzano il programma per la navigazione sicura denominato TOR in contemporanea con altri programmi come Vidalia, Polipo o Proxy la cui combinazione garantisce un completo anonimato.

Stante l’assenza delle prove necessarie, il PM Plazzi sta cercando di accreditare a valore di “prova incontrovertibile del reato” le foto e i video che alcuni degli imputati hanno fatto a Bologna il 1 luglio 2008 in Piazza Trento e Trieste, in occasione del presidio di solidarietà con dodici appartenenti (o ex appartenenti) alla “carovana” del (n)PCI impegnati nell’udienza preliminare per il reato di “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”.

Questo perché alcune delle foto in questione riprendono anche agenti della Digos e delle Forze dell’Ordine impiegati nel corso del presidio per controllare i manifestanti e sarebbero “compatibili” con alcune delle foto presenti sul sito “Caccia allo Sbirro”. C’è però un piccolo particolare: le foto realizzate dai compagni in quell’occasione sono state ampiamente diffuse e pubblicizzate subito dopo il presidio [vedi sito ASP, in cui tutt’oggi si trovano] e chiunque poteva utilizzarle, diffonderle e pubblicarle su altri siti, come il sito “Caccia allo Sbirro”.

Uno degli agenti della Polizia Postale ha anche confermato che le foto e il video sequestrati riguardano il presidio del 1 luglio nel suo complesso e non solo i singoli poliziotti (a conferma che si tratta di una normale pratica di militanza politica) e che non sono state fatte indagini ulteriori per verificare se le immagini estrapolate e pubblicate sul sito fossero realmente riconducibili alle macchine fotografiche o telecamere utilizzate dagli imputati.

Molti dei testimoni hanno inoltre ammesso che sul sito incriminato ci sono anche foto di agenti ritratti in altri contesti e città e, quindi, non collegabili agli imputati.

A questo punto il PM Plazzi nel suo tentativo di dare al processo basi di appoggio che non possiede, ha proposto al giudice Sandro Pecorella di allegare agli atti i cd e i video delle foto del presidio sequestrati alla compagna imputata con la relazione stesa su di essi da uno degli agenti della Polizia Postale, nonostante questa relazione fosse stata prodotta ben oltre i termini delle indagini preliminari e della proroga richiesta e quindi palesemente inutilizzabili.
Alle obiezioni opposte dalla difesa il giudice ha rigettato la richiesta della Plazzi.

Come testi a carico hanno deposto inoltre Vincenzo Ciarrambino, oggi in servizio presso la Questura di Genova, ma nel 2008 dirigente della Digos di Bologna e il vicecommissario Miolli della Digos di Bologna, entrambi materialmente presenti al presidio del 1 luglio 2008.

Dei due, il primo ha mostrato di fornire una sua versione dei fatti palesemente viziata “dall’insalata russa” che si è fatto nella sua testa in merito al (n)PCI, il P.CARC  (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) e l’ASP: dal momento che queste tre organizzazioni ben distinte tra loro sono diventate un tutt’uno per Ciarambino.
Il sito “Caccia allo Sbirro” del (n)PCI è diventato il sito dei Comitati di Assistenza [sic!] al Comunismo e altrettanto accade per rivista La Voce del (n)PCI che diventa la rivista dei Carc….
Diversi sono i “non ricordo”, e “se lo dice lei sarà così” che il dirigente Ciarrambino oppone alle domande della difesa.

Più preparato sembra invece Miolli, che se distingue bene le tre organizzazioni, non sembra conoscere, pur investigando molto su di esse, la sede fisica dell’ASP, di cui  trasferisce la Direzione da Napoli a Milano!
Ad entrambi, gli avvocati della difesa chiedono se ricordano se nel sito si faccia riferimento alla “polizia politica”, agli “infiltrati, agli spioni e ai collaboratori della polizia politica e delle agenzie private”, “ai torturatori di Guantanamo e di Abu Ghraib”, a dimostrazione che si tratta di un’operazione politica contro i gravi crimini e abusi delle forze dell’ordine, ed essi devono rispondere affermativamente.

Miolli ripete anzi più di una volta che il sito fa riferimento ai “massacratori delle masse popolari”, ma dice che i commenti sul sito sono “ingiustificati” rispetto alle immagini pubblicate che riprendono poliziotti inermi.

Sul perché gli agenti non abbiano un codice identificativo, Ciarrambino risponde che è perché molti di loro svolgono lavoro di identificazione e osservazione e precisa che a Bologna il 1 luglio erano presenti agenti della scientifica che “facevano immagini” e della Digos con compiti “di osservazione”. Afferma che i poliziotti sono comunque riconoscibili nello svolgimento delle loro funzioni. Peccato però che siano riconoscibili solo da chi già li conosce!... precisa la difesa.

Miolli illustrando il comportamento degli imputati al presidio, riferisce di momenti d’attrito avuti con la compagna oggi sotto processo, la quale pur avvisata di non poter [sic!] scattare foto continuava a scattarle rispondendo che era nel suo pieno diritto farlo! Miolli con questa dichiarazione oltre ad inventarsi un reato (scattare foto durante presidi, manifestazioni, iniziative politiche) che per fortuna nostra ancora non è contemplato dalla legge, omette ovviamente di dire che alla compagna oltre alle spiegazioni date qualcuno ha anche cercato di strappare illegalmente la macchina fotografica nel corso di quella giornata!

Ed è sempre lui quello che più cerca di dar man forte alla Plazzi nel tentativo del PM di avvalorare la tesi che un altro degli imputati sia collegabile al sito perché avrebbe pronunciato durante il presidio la frase rivolta ai poliziotti “abbiamo le vostre foto, vi sbatteremo su internet, faremo un dossier”.

Miolli però è costretto dalla difesa a confermare che l’imputato in questione aveva chiesto “in maniera determinata” e non minacciosa, come si vuole far credere, che una delegazione di tre persone potesse assistere al processo e che la suddetta frase era seguita al divieto opposto dalla Digos, divieto che, come precisa la difesa dopo l’intervento del giudice a sostegno del testimone, poteva essere non del tutto comprensibile per chi non è detto che sappia che le udienze preliminari si svolgono a porte chiuse.

Anche in questo caso per surrogare la mancanza di prove certe il PM cerca di far passare come un atto di intimidazione, di minaccia e un chiaro collegamento al sito un comportamento che se inquadrato nel contesto particolare di quel presidio e ad una attività politica più generale (fatta di denuncia pubblica tramite la produzione di dossier diffusi via internet – vedi il recente “Copwatching, controllare i controllori" come il precedente “Il gruppo bilaterale italo-francese su terrorismo e minacce gravi”) risulta del tutto comprensibile e ordinario.

L’udienza si è chiusa con la dichiarazione spontanea di uno degli imputati che, parlando a nome di tutti i compagni inquisiti, ha ribadito come il processo orchestrato dalla Plazzi abbia un chiaro intento persecutorio e poggi sul nulla. Il compagno ha ribadito pure la condivisione politica delle finalità che il sito “Caccia allo Sbirro” vuol contribuire a realizzare: una superiore vigilanza democratica sugli agenti delle forze dell’ordine per contrastare abusi e impunità e la promozione di battaglie come l’istituzione del codice identificativo.
La necessità di una superiore vigilanza democratica è dimostrata, ha aggiunto, da quanto avviene a Bologna con il VII Reparto mobile.

La prossima udienza è fissata per il 21 febbraio.
In quella sede verranno ascoltati i testimoni della difesa e verrà nominato dal giudice il perito che dovrà operare su uno dei computer sequestrati agli imputati nel 2009, non ancora restituito e, da quanto emerso nel corso dell’udienza, rimasto per ben tre anni nelle mani della Polizia Postale di Napoli “imballato”, senza che nessuno si prendesse la briga di svolgere su di esso quelle indagini che ne avevano motivato il sequestro!!!

Il PM Plazzi e il giudice si dicono stupiti (francamente abbiamo serie difficoltà a credere alla buona fede della Plazzi!) e concordano con le difficoltà di comunicazione con la Postale di Napoli, non una parola però sull’enorme danno (politico e materiale) che è stato arrecato al compagno!!!

Non solo! La Plazzi ha anche l’ardire di chiedere al giudice di acquisire come elementi di prova le eventuali informazioni che emergeranno dalla perizia effettuata sul computer, nonostante l’inchiesta sia chiusa da tempo e si sia ormai in fase processuale!!!
Quando cioè per legge l’intervento che su questo computer potrebbe essere esplicato è unicamente quello di rimuovere file “sensibili” (le foto del presidio) al fine di permetterne la restituzione!
E il giudice Pecorella, nonostante le obiezioni mosse dalla difesa, acconsente stavolta a che il perito riferisca sulla sua attività.

Fuori del Tribunale, nel frattempo, nonostante la neve, un presidio di solidarietà ha sostenuto i compagni a processo!

Ringraziamo i compagni di Fuoriluogo e dei Giovani Comunisti che sono passati a testimoniare la loro solidarietà e quanti hanno firmato l’appello “Estendere e rafforzare la vigilanza democratica”! Lanciamo l’appello a partecipare al processo contro ventisette compagni di Fuoriluogo che si terrà a Bologna il 29 febbraio! La solidarietà è un’arma!

Durante il presidio lo stesso individuo che il giorno precedente aveva aggredito gli indignati bolognesi che manifestavano contro Napolitano, si è avvicinato ad uno dei compagni del presidio e gli ha sferrato un pugno spaccandogli il labbro. Approfittando dell’effetto sorpresa si è quindi dileguato.
Chi è costui, uno sbandato o un provocatore?

Estendere e rafforzare la vigilanza democratica contro gli abusi e l’impunità degli agenti delle forze dell’ordine!

Per l’introduzione del reato di tortura e del codice identificativo per gli agenti di polizia!

Per l’assoluzione piena  dei compagni sotto processo!